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Alcune settimane fa ho sognato di essere in giro per Torino. Di perdermi a Torino. Raggiungevo una zona molto periferica in autobus e, convinto di essere arrivato a destinazione, scendevo dal mezzo pubblico per raggiungere la via che credevo fosse pochi metri dietro la fermata. Ovviamente mi sbagliavo. E così, in una calda giornata di metà estate, ho iniziato a gironzolare in un quartiere sconosciuto in una città (semi)sconosciuta nel vano tentativo d’incontrare qualche anima buona che mi desse un briciolo d’indicazioni stradali. Nulla. Ricordo il sudore scendermi dalla faccia, la gola secca, i piedi che iniziavano ad essere doloranti. Mi guardavo attorno alla ricerca di una fontanella a forma di toro o di un bar dove attaccarmi a qualcosa di fresco, ma niente.

Allo stremo delle forze, mi fermai presso un muretto in cemento, alto poco più di un metro. Dopo essermi seduto, mi misi a guardarmi attorno. Fu allora che lo vidi. In mezzo ad un’ampia collinetta, piena di fiori dai colori sgargianti, un enorme busto color pece che raffigurava Mussolini sovrastava tutta la zona circostante.

Un paio di sabato fa mi è capitato di assistere ad una parte di uno spettacolo mandato in onda su Rai2 a tarda notte, un adattamento teatrale del romanzo di Gadda “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, con la regia di Luca Ronconi. La versione televisiva – e, immagino, anche quella teatrale – iniziava con un balletto stilizzato di un gruppo di persone che muovevano arti inferiori e superiori in modo plastico. Alle loro spalle, ad intervalli regolari, passava, posto sopra un carrello, un busto del Duce, di profilo. Nero.