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Tag Archives: vicinato

La buona notizia del giorno è che Mamma #2 e famiglia si sono trasferiti in un altro condominio.

La cattiva notizia del giorno è che Papà #1 e famiglia si sposteranno nell’ormai ex appartamento di Mamma #2 ovvero nella mia colonna.

D’estate, le finestre aperte, i rumori corrono…

Dunque ci sono Mamma #1, Mamma #2 e Papà #1.

Papà #1 è quello che t’ispira più dolcezza. Padre da poco, relativamente giovane, magro come un grissino, deve iniziare a fare i conti con il figlio maggiore che a tre anni ha già deciso di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, genitori compresi. Il pupo, timidissimo con qualunque estraneo, non risparmia urla e pianti una volta dentro le mura di casa e quando lo incontri in giardino corre a nascondersi dietro le gambe della madre e ti guarda con uno sguardo furbo, quello di chi la sa lunga. Succede che un caldo pomeriggio di luglio verso le sei il monello decide di entrare in casa senza Papà #1. Semplicemente l’ha lasciato fuori. Senza chiavi. Allora Papà #1 fa quello che farebbe qualunque padre appena tornato dal lavoro che viene lasciato fuori casa dal figlio treenne: inizia ad urlare. Ma urlare, urlare. Tipo che io, a tre piani di distanza con gli auricolari che sparavano musica a palla, non ho avuto problemi a sentirlo. Come se fossi stato lì con loro. Dicevamo, Papà #1 inizia a gridare al figlio, che chiameremo “Manuel”, cose del tipo: “Manuel, fammi entrare o ti stacco tutte le ossa e poi te le rimetti a posto da solo!”, “Manuel! Fammi entrare! O prendo i DVD dei Fantagenitori e te li distruggo uno per uno, li mischio e te li faccio incollare con lo scotch!” per passare a toni più morbidi, come, “Manuel, tesoro, non vorrai lasciare paparino da solo sul pianerottolo a prendere freddo, no?”, fino al definitivo “Manuel, se mi lasci entrare vedrai che non ti succederà niente. Parola di lupetto”. Quest’ultima frase deve aver fatto centro perché improvvisamente è calato il silenzio nel condominio. Di nuovo gli uccellini son tornati a cinguettare, i grilli a frinire, i cani a dormire piegati dal caldo. Il rumore più alto percepibile era lo sbadiglio della gatta. Il tutto per appena dieci secondi ché Manuel è scoppiato in un pianto a dirotto come se lo stessero scorticando vivo. Papà #1 è riuscito a convincerlo a lasciarlo rientrare in casa, si vede.

Mamma #2 è la classica mamma da manuale. Voleva due figli, e li ha avuti. Voleva un maschio e una femmina, e li ha avuti. Voleva che il maschio fosse più grande della femmina, e lo ha avuto. Voleva che tra il maschio e la femmina intercorressero pochi anni di differenza, e lo ha avuto. Quello che Mamma #2 non ha calcolato è che, avendo due figli in poco più di tre anni, una volta tornata a lavorare avrebbe dovuto gestire lo stress del lavoro insieme a quello di occuparsi di due bambini da tirar su. Bambini che, oltre a non andare molto d’accordo tra di loro, impediscono il sonno durante la notte – nel caso della piccola – e durante il giorno – nel caso del maschietto. Risultato: sul vocabolario alla voce “stressato” c’è un’immagine di Mamma #2. Ora, come tutti sapranno, è assolutamente vietato urlare al proprio capo, soprattutto in tempi di crisi ché il posto vacilla, di conseguenza Mamma #2 non ha problemi a sentirsi autorizzata a urlare ai propri figli. Sempre. A qualunque ora. Del giorno. E della notte. Per qualunque motivo. Si va dal pizzicotto che il fratello ha dato alla sorella allo sguardo “in maniera provocatoria”, dal “tuo padre deve riposare” al “mettiti le scarpe prima di andare in cortile”. La cosa deve andar avanti da un bel po’, ma il freddo dello scorso inverno, unito al fatto che le finestre rimanevano ben chiuse per quasi tutta la durata del giorno, deve aver impedito la diffusione di qualunque rumore. Urla e sgridate comprese. Altro discorso d’estate, con il caldo afoso e le finestre perennemente aperte. L’apice è stato raggiunto una domenica mattina di luglio. Alle sette. SETTE. Alle sette, Mamma #2 si è sentita in dovere di far sapere alla figlia e a tutto il vicinato assieme a lei che non voleva essere disturbata mentre stava pulendo il bagno. Alle sette e mezza, il marito di Mamma #2 ha invece fatto sapere al figlio e a tutto il vicinato assieme a lui che la sua mattina era iniziata nel peggiore dei modi possibili. Pensa la nostra.

Mamma #1 è riuscita nell’impresa di riscrivere nel mio immaginario la parola “tenerezza”. Nel senso che, d’ora in poi, quando penserò alla parola “tenerezza”, rivedrò il figlio di Mamma #1 dentro a un costume da bagno troppo grande per i suoi sei anni mentre saltella senza scarpe su un pavimento decisamente troppo caldo, intento a coprirsi le costole con le braccia, in attesa di una risposta da parte di Mamma #1 diversa da quella data dal padre. Metà luglio. Primo giorno di clima nella media delle estati torride in città dopo diverse settimane di temporali, acquazzoni e temperature autunnali. Il marito di Mamma #1, che abita in una villetta a schiera dotata di un ampio giardino di fronte al mio condominio, decide che è arrivata l’ora di tirare fuori la piscina gonfiabile dall’armadio e di riempirla con l’acqua della pompa del cortile. Nell’arco di mezz’ora è pronta. A questo punto arriva il piccolo, che chiameremo “Mattia”, vede la piscina, gli si stampano sulla bocca anche i denti che ancora non ha, corre in casa, torna fuori in perfetta tenuta da bagno, come dicevamo all’inizio. Il tutto in quindici secondi di orologio. Ed è in questo momento che si scatena il dramma. “Non pensare neanche lontanamente di entrare in acqua”, gli dice drasticamente il padre con la pompa ancora in mano. “Come?”, abbozza interrogativo Mattia. “Non pensare neanche di entrare in acqua, ho detto”, ripete il padre. “Perché?”, chiede il disperato Mattia che dal tono della voce si capisce che sta per mettersi a piangere ma una punta di orgoglio lo ferma. “Perché l’acqua è fredda”. “Ma se c’è un sole che brucia le pietre!”. Quasi subito fa la sua comparsa Mamma #1. Mattia la guarda nella speranza che faccia cambiare idea al padre. “Hai sentito cosa ti ha detto tuo padre: l’acqua è fredda”. “MA ALLORA COSA L’AVETE PREPARATA A FARE, LA PISCINA?!!”, sbotta il piccolo mentre corre dentro casa. Mamma #1, che sa che non può lasciare l’ultima parola al figlio, si lancia in un possente urlo diluito nel tempo: “MAAAAATTIIIIIIIIIIIIIIIAAAAAAAAAAA!!!!!!!”.

Papà #1, Manuel, la madre, l’altro bambino e la nonna sono in ferie. Staranno via tutto il mese di agosto.

Mamma #2, il marito e i due figli (un maschio e una femmina, ché lei ci teneva tanto ad averli così) sono partiti per il mare a metà luglio. Non sono ancora tornati.

Mamma #1, il marito e Mattia non sembrano intenzionati a lasciare la città per il periodo estivo. E’ possibile sentire un urlo simile a quello di quella volta della piscina più o meno tutti i giorni o nella tarda mattinata o nel tardo pomeriggio. Come un orologio svizzero.

(immagine via Sally Green)

Tipo che stamattina ho alzato la tapparella per vedere se avesse smesso di piovere.

Tipo che il vecchio del primo piano di fronte – quello che passa le estati urlando contro la moglie, la quale, per tutta risposta, si limita ad un “ssshhhh”, molto sussurato e molto lungo, invece di un “ma vedi di andare a fare in culo”, molto sonoro e molto squillante – stava in balcone a svuotare i sottovasi delle sue piante.

Tipo che, proprio in quel momento, una bambina stava camminando sul marciapiede, sotto al balcone del primo piano.

Tipo che il vecchio l’ha presa in pieno e lei, con voce rotta dalle lacrime, ha iniziato a lagnarsi con la nonna, “ma qui piove acqua dal cielo”.

Tipo che la nonna le ha detto, “passa di qua, ché è meglio”.

Tipo che io, nei momenti in cui oggi si presume che dovrei essere serio, non ci riesco perché mi scappa troppo da ridere.